La quinta serata del Festival si conclude con la proiezione di un’opera prima, inserita all’interno del concorso “Rivelazioni”. In realtà Giuseppe Bonito, il regista, nonostante la giovane età ha alle spalle una militanza in campo cinematografico e televisivo di parecchi anni, ha lavorato anche con Sergio Citti. Il film è tratto dal libro di Gaia Raineri, anche per lei un’opera prima. E’ tratto da una storia vera, accaduta a Torino. Il film, che è stato presentato al Festival di Roma, è un film sulla giustizia e sul malfunzionamento di un sistema burocratico, cavilloso e subdolo che vede come protagonisti/vittime migliaia di bambini e adolescenti e le loro famiglie.
Giuseppe Bonito – Pulce non c’è
E’ difficile credere che Ludovica, la bambina che interpreta Pulce, non sia davvero autistica. Sulla forza di questo realismo il film prende vita, ed è più facile entrare in quei meccanismi alienanti e violenti che sono in grado di distruggere una famiglia e il suo equilibrio, in nome di una giustizia. Pulce non parla, ma come sentiamo raccontare dalla sorella più grande, non significa che non abbia nulla da dire. Ride per cose che la gente non è abituata a vedere, e piange per cose che noi non sappiamo. Ha il suo mondo, forse perché non accetta quello degli altri o semplicemente per la sua malattia. Pulce viene allontanata dalla famiglia, proprio quando, grazie ad un nuovo metodo di comunicazione, può far sentire la sua voce. Allontanata dalle paure che ormai ci hanno cambiato, guidata nelle sue confidenze – forse involontariamente – dalle apprensioni di maestre anche loro sempre più sotto pressione. Ma soprattutto allontanata in modo violento, per quasi un anno, dalla sua casa e dalle persone che la amano. Assistiamo a interrogatori e test psicologici per accertare il grado di normalità della sua famiglia, con domande intime, personali, e alle quali tutti risponderemmo nello stesso modo perché tutti viviamo quotidianamente certe incomprensioni e situazioni. Ciò che fa questa storia è sollevare il problema di cosa si scatena, quando si innesca il sospetto di un crimine. Improvvisamente non ci si riconosce più, non si riconosce il proprio marito, si comincia ad analizzare ogni episodio per trovare l’errore. Una bambina senza difesa, che in realtà non è nessuno per gli altri, perché non è una bambina comune. Per alcuni è un mostro, per altri un problema da risolvere. Pulce è un caso. Come è un caso la presenza costante di una vecchia pazza, in senso buono, che riesce a entrare in sintonia solo con chi capisce il suo disagio, la sorella di Pulce. La vecchia pazza è inconsciamente il simbolo di ciò che tutti abbiamo smesso di essere. Dice quello che tutti pensiamo, ma che per convenzione non diciamo. Lo fa ad alta voce, e tutti ridono perché dà dei pazzi agli altri, che come alieni controllati e indifferenti le passano davanti tutti i giorni. La vecchia sa che nessuno la può ingabbiare, come nessuno può ingabbiare Pulce. Il punto di vista della sorella adolescente, così timida e sensibile, è fondamentale per leggere alcune dinamiche del “sacrificio” familiare. Un sacrificio che può tradursi solo in amore incondizionato. Ma i danni psicologici, la vergogna e l’umiliazione di questi mesi da chi saranno risarciti?
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In sala il regista Giuseppe Bonito e l’attrice Marina Massironi.
Il linguaggio del cinema è più brutale e diretto di quello letterario, ci vuole molta cautela e sensibilità, soprattutto per temi come questo. Che tipo di lavoro è stato fatto?
Io sono dell’idea che per affrontare qualsiasi tema si debba procedere con tutti gli strumenti di conoscenza di quel tema. Il mio primo approccio non è mai di natura registica, ma proprio di analisi dettagliata delle situazioni. Sull’autismo siamo tutti male informati, magari guidati da quello che è una delle forme meno comuni ma il più raccontato cinematograficamente, che è quello di Rain Man, per intenderci. Io ho dovuto andare verso il mistero di questa malattia, cercando di trovare una verità sui problemi autistici. Ho rinunciato a tante cose sul piano filmico, proprio perché questo è un argomento sul quale non si può bluffare. Ho anche fatto un’esperienza di alcuni mesi presso una struttura sociale di Torino.
Marina, c’è stato qualche pudore a interpretare il ruolo della madre di Pulce?
Ho trascorso molto tempo insieme a lei, ed è stato importare capire il percorso di accettazione che si compie davanti a un problema come l’autismo. Mi ha colpito la sua forza e il suo coraggio. Da parte mia c’è stata una dedizione necessaria per mettere tutta la verità possibile dentro questa madre. Credo che alla fine il pudore sia solo nostro, di chi non vive queste situazioni, e si ha sempre la sensazione di camminare sulle uova. Noi vorremmo dare a tutti i costi delle risposte, ma la razionalità in questi casi non serve. Anche noi sul set abbiamo fatto un lavoro rigoroso con le bambine, loro invece hanno semplicemente giocato, con molta più verità di noi adulti.
Il film è fedele al romanzo? La scrittrice ha collaborato alla sceneggiatura?
Il film è fedele nella sostanza dei fatti, nelle figure familiari, è molto fedele a Pulce. Tradisce forse il romanzo solo nell’ordine strutturale. Cioè il film ha un percorso più lineare, il libro parte subito dal problema con continui flashback che aiutano a comporre la storia. Inoltre il libro si basa sull’unico punto di vista della sorella adolescente, mentre a me piaceva l’idea di poter analizzare e affrontare anche gli altri punti di vista. Cioè, come un padre affronta un accusa di stupro nei confronti di una bambina alla quale si dedica con amore da 8 anni? Come lo vive la madre, come lo vivono gli insegnanti?
Come sono state scelte le musiche?
La musica è stata scelta per via della collaborazione con i Mokadelic, un gruppo di amici molto conosciuti a Roma, e della stima e amicizia di Niccolò Fabi, che ritengo essere uno dei cantautori più sensibili, dolce e robusto allo stesso tempo, come pochi possiamo sentirne attualmente. Ho evitato di scegliere una linea melodica che fosse prevedibile, in base alla trama. Non volevo appesantire il dramma con una commozione forzata e guidata.
Il casting come si è svolto?
E’ stato diviso in due parti, quello per la scelta delle bambine, a partire da una selezione tra migliaia (4228, per l’esattezza), facendo proprio scouting per strada. Io trovo infatti aberrante la figura del bambino/attore, per cui ho preteso che nessuna avesse avuto precedenti esperienze, neppure come comparsa. Diciamo che alla fine si sono scelte loro. Abbiamo passato degli step intermedi di laboratori in cui la personalità e le capacità di Ludovica, Pulce, sono state chiare da subito. Rimaneva da trovare chi, rispettando le caratteristiche di pulizia e timidezza che cercavo, fosse in perfetta sintonia con lei. Nessuna più di Francesca, era riuscita a oltrepassare i limiti che Ludovica, già perfetta nel suo ruolo, imponeva. Anche Francesca ha fatto un importante lavoro su di sé e sulla sua personalità. Per quanto riguarda Pippo e Marina volevo invece creare un cortocircuito, con due attori di provenienza assolutamente opposta. Pippo viene dal teatro di segno, teatro danese, è molto rigoroso addirittura non ha voluto vedere le bambine finché non si è trattato di stare sul set. Marina, che io stimo tantissimo, è la figura di attrice che io ricercavo, perché sono fermamente convinto che una formazione anche prettamente cabarettistica, non implichi l’essere intrappolati in un ruolo. Io guardo sempre al Nord, quando lavoro. Soprattutto mi piacciono i lavori di Ken Loach, ho immaginato di girare un film come lui, ma in Italia.
Dal punto di vista della fotografia, la scelta di utilizzare spazi ampi e architettura industriale, come è venuta?
Sempre pensando a quale tipo di cinema mi ispiro, la scleta è ricaduta su questo ex alto forno della Tissen Group. Quando faccio i sopralluoghi mi piace siano come delle gite, per cui mi faccio guidare solo dalle sensazioni che il luogo mi trasmette. Ogni luogo ha un dna e una memoria nelle molecole, che raccontano ciò che è stato. E di quel posto in particolare mi piaceva l’eco che riportava. Anche se poi l’ho leggermente alterato in fase di mixaggio, il modo di riportare il suono era quello che cercavo.
Pulce non c’è (Giuseppe Bonito, 97′) — Opera prima
Sceneggiatura: Monica Zapelli. Fotografia: Massimo Bettarelli. Montaggio: Roberto Missiroli. Scenografia: Michele Modafferi. Musica: Mokadelic. Interpreti: Pippo Delbono, Marina Massironi, Piera Degli Esposti, Rosanna Gentili, Anna Ferruzzo. Produzione: Overlook Production.Giovanna Camurati è una ragazzina come tante, con dei genitori comuni a tanti, papà Gualtiero e mamma Anita. Sua sorella Margherita, detta Pulce, invece è una bambina speciale. Pulce ha nove anni, beve solo tamarindo, ascolta solo Bach, non reagisce mai come ti aspetteresti e va pazza per le persone arrabbiate. Ma soprattutto Pulce non parla anche se questo, come dice Giovanna, “non significa che non abbia niente da dire”. Pulce è autistica. Un pomeriggio di pioggia, la vita della famiglia Camurati cambia. Anita va a prendere Pulce a scuola e scopre che Pulce non c’è. E’ stata portata via senza troppe spiegazioni in una comunità dal nome rassicurante di “Giorni Felici”. Lentamente emergono i contorni dell’accusa: Gualtiero è sospettato di aver abusato di sua figlia. La macchina della giustizia deve fare il suo corso, fugare ogni dubbio ragionevole o irragionevole le normali follie di ogni lessico familiare.Giovanna ci racconta senza retorica e senza patetismi lo scontro tra mondo adulto e infanzia, tra malattia e normalità, tra rigidità delle istituzioni e legami affettivi.